CINGIS CAN
R I 43 0; R I 43 1; R I 43 6; R I 43 8; R I 43 10; R I 43 11(Cingis); R I 43 12 (Cingis); R I 43 13 (Cingis); R I 43 14 (Cingis); R I 44 1; R I 44 3; R I 52 1; R I 55 9; R I 55 10; R II 1 3; R II 5 0 (Cingis); R II 5 1 (Cingis); R II 5 2 (Cingis); R II 6 19; R II 6 23 (Cingis); R II 8 15 (Cingis); R II 8 19 (Cingis); R II 8 21 (Cingis); R II 8 24 (Cingis); R II 10 2 (Cingis); R III 44 6.
Cinchin, Cinchin C(h)an, Cinchin Ka(a)n, Cinchins C(h)an, Cinchins Kan, Cinghis C(h)an, Cingin Can, Gingins Can F; Cigin Kanis, Cinchinus (Canis), Cinghis Kan(is) L; Chinchin, Chinchis (Kaam) P; Zesia Chan, Zis Chan, Zischi Can V; Chinchis (Chaan) VA; Çeçin C(h)an, Çicino, Chan Çeçin, Çecino (Can); Cingis Can, Cinghys Can Z.
BIBLIOGRAFIA – Atwood 2004, pp. 97-102; Bernardini, Guida 2012, pp. 9-41; Cardona 1975, pp. 597-599; de Rachewiltz 1989 e 2004; Pelliot 1959-1973, pp. 281-393 n. 158; EIr V/2, pp. 133-135; Doerfer 1963, pp. 312-315 nota 185; Doerfer 1967, pp. 141-180, nota 1161; Ratchnevsky 1991.
«Cingis Can» (mong. Činggis Qa’an), il fondatore dell’impero mongolo, nacque probabilmente nel 1162 (o nel 1167 – la data è dibattuta) nell’attuale regione del Khentii, nella Mongolia nord-orientale, dove nascono i fiumi Kerülen e Onon. L’unica fonte scritta di proprio pugno dai Mongoli a narrare la genealogia e la vita di Č., e le modalità con cui pose le basi dell’impero, poi ampliato dai suoi successori, è la Storia Segreta dei Mongoli (monggol-un ni’uča tobčiyan). Si tratta di una cronaca epica, frammista di prosa e poesia allitterata, dove leggenda e storia si intrecciano; fu redatta in grafia mongolo-uigura da un autore ignoto, molto probabilmente nel 1228 (vd. de Rachewiltz 2004, pp. XXIX-XXXIV), subito dopo la morte di Č. L’originale è perduto; ne esiste tuttavia una versione in lingua mongola scritta in trascrizione fonetica cinese del periodo Ming. Alcune parti della Storia Segreta sono inoltre contenute nello Altan Tobči (Libro d’Oro), opera a carattere buddista del XVII secolo (vd. Ligeti [1974] e Bawden [1955]). Tra le altre fonti, prevalentemente cinesi e persiane, ricordiamo il Jāmiʿ al-tawārīkh (La raccolta delle Storie) di Rašīd-ud-dīn, e le cronache cinesi Shengwu Qinzheng Lu (Le campagne di Činggis Qa’an) e Yuan Shi (Storia della dinastia Yuan); vd. Morgan (1997, pp. 24-33) e Bernardini, Guida (2012, pp. 348-360). Č. era figlio di Yisügei Ba’atur, “il Coraggioso”, del clan Kiyat Borǰigin, e di Hö’elün, di lignaggio Olqunu’ut (una sottotribù dei Qonggirat); il matrimonio era avvenuto dopo che Yisügei Ba’atur aveva rapito la futura moglie, usanza ancor oggi diffusa nel mondo turco-mongolo delle steppe, poco prima che venisse data in sposa a un capo della tribù dei Merkit. Molti futuri Gran Can mongoli sceglieranno le loro mogli proprio dal clan Qonggirat; tra queste ricordiamo ad esempio Börte, la prima sposa di Č., e Čabi, l’amatissima seconda moglie di Qubilai Qa’an. Antenati ancestrali del clan Borǰigin furono un lupo grigio-blu (Börte Činua) e una cerbiatta fulva (Qo’a Maral). Il futuro Č., a cui venne dato il nome Temüǰin (letteralmente “fabbro”, dal turco-mongolo temür “ferro”, con il suffisso agentivo –čin), alla nascita teneva un grumo di sangue in mano, simbolo premonitore della tenacia e ferocia che lo avrebbero contraddistinto. Secondo la tradizione mongola ai neonati veniva dato il nome di qualcosa che aveva attratto l’attenzione della madre al momento della nascita. Il padre, Yisügei, aveva appena annientato un gruppo di tatari, nemici di antica data dei Mongoli (vd. la nota Tartari), il cui capo si chiamava appunto Temüǰin; prendere il nome di un nemico ucciso significava inoltre privare il vinto persino della sua identità, infondendo così la sua forza al vincitore. Per di più, il fatto che il ferro sia strettamente associato alla metallurgia, mestiere sacro dello sciamano, era di buon auspicio. Secondo l’usanza del tempo, Č. venne fidanzato in giovane età, a nove anni, con Börte, di lignaggio Qonggirat. Subito dopo il fidanzamento, sulla via del ritorno verso il proprio accampamento, Yisügei Ba’atur fu avvelenato dai Tatari. Come conseguenza di questo fatto, tutti i clan che prima obbedivano a Yisügei Ba’atur abbandonarono la famiglia di Temüǰin, non volendo riconoscere come “capo” un bambino di nove anni. Malgrado le ristrettezze e il rigore spartano cui fu costretta la famiglia (ridotta, secondo la Storia Segreta, a nutrirsi di bacche e radici per sopravvivere), Temüǰin riuscì rapidamente a ritagliarsi un ruolo di rilievo. Dotato di un carisma fuori dal comune, di astuzia politica e abilità organizzative, grazie anche a un’alleanza con Toghril qan (di lignaggio kereita), il più potente qan delle steppe del suo tempo, anda (fratello di sangue) del defunto padre Yisügei, Temüǰun cominciò presto ad attrarre a sé giovani guerrieri delle steppe, molti dei quali divennero poi suoi importanti generali. Dopo aver consolidato le tribù della Mongolia, Č. si volse alla conquista delle civiltà sedentarie dell’Eurasia. Tra il 1218 e il 1225 si impadronì di un immenso territorio che si estendeva dalla Cina al Vicino Oriente; assoggettò i Chin, i Jürčen e parte della Persia. Rimandiamo all’esauriente monografia di Ratchnevsky (1991) per una presentazione dettagliata della sua vita e delle sue conquiste. Morì probabilmente verso il 1227, subito dopo la campagna contro i Tanguti; non conosciamo né le cause del decesso né il luogo di sepoltura. Rašīd-ud-dīn ne descrive il corteo funebre verso il monte Burqan Qaldun, dove sarebbe stato sepolto, secondo la tradizione mongola, in un luogo segreto e interdetto, qorig in mongolo. Dal momento che Č. morì nel mese d’agosto e i Mongoli non praticavano l’imbalsamazione dei cadaveri, è altresì verosimile che il corpo non fosse stato trasportato fino alle regioni sacre del Burqan Qaldun nella regione del Khentii (vd. Ratchnevsky 1991, p. 142); tutt’ora sono numerose le spedizioni archeologiche che ogni anno si susseguono nel tentativo di identificare la collocazione geografica della sua tomba. Il titolo “Činggis Qa’an” venne attribuito a Temüǰin nel 1206, anno della Tigre. In questa data le genti delle tende (yurte) dalle pareti di feltro si riunirono alle sorgenti del fiume Onon; venne alzato lo stendardo bianco a nove code (tuq) e lì venne assegnato (a Temuǰin) il titolo Činggis Qa’an (vd. SSM par. 202); stando al Jāmiʿ al-tawārīkh esso gli sarebbe stato conferito dallo sciamano Teb-Tenggeri Kököčü (par. 258 [Thackson 2012, p. 100]). Secondo Pelliot (p. 301) e molti altri studiosi, il nome Č. deriverebbe dalla parola turca teŋgiz “mare, oceano, vasto corpo d’ acqua, universo”; Činggis Qa’an significherebbe quindi “Qa’an universale”; un analogo valore ha la denominazione della più alta carica spirituale del buddhismo, Dalai Lama, da mong. (← turco) dalay “mare, oceano”. Più recenti studi (de Rachewiltz 1989 e Doerfer 1963) identificano invece una relazione etimologica fra Činggis e l’aggettivo turco čiŋiz “feroce, tenace”, attestato nella stele antico-turca di Alp Urungu, appartente al corpus di iscrizioni turco-runiche yenissiane. Vestigia di čiŋiz si ritrovano nei dialetti turchi anatolici e nella lingua yakuta della Siberia orientale. Il contenuto semantico dell’aggettivo čiŋiz, come precisato da de Rachewiltz (1989, p. 288), ben si allinea col fatto che Č. fosse nato tenendo un grumo di sangue in pugno. L’aggettivo čiŋiz unito al titolo qa’an significherebbe quindi “qa’an feroce” o “qa’an tenace”. de Rachewiltz sottolinea inoltre la vicinanza semantica di čiŋiz col russo groznij usato come epiteto dello Czar Ivan, a noi noto come Ivan il Terribile, e il cui significato appunto spazia da “terribile, terrificante” a “severo” (Doerfer 1963, p. 315). Le fonti storiche riportano diverse forme paleografiche del nome Č.; mentre la forma ramusiana/poliana Cingis rispecchia fedelmente l’originale mongola, le varianti Čingiz e Gengis indicano una chiara mediazione, rispettivamente persiana e araba. Il titolo qa’an “imperatore” era il massimo titolo regale in uso presso i Mongoli a partire da Ögödei, successore di Č. D’altro canto il titolo qan designava un sovrano di entità minore, subordinato all’autorità del qa’an. Il titolo qan si ritrova, ad esempio, nel nome della dinastia mongola che regnò in Persia, su una parte dell’impero mongolo: ilkhan “khan del dominio” (khan è semplicemente la forma fricativizzata di qan). Nel racconto poliano qa’an è reso con “imperatore” o “Gran Can”, mentre “re” o “signore”/ “Gran Signore” definiscono mong. «qan» (vd. nota a Gran Can). Tuttavia, il titolo adoperato in vita da Č. era “qan” e non “qa’an”; sembra che durante il regno di Qubilai la forma “qan”, originariamente attestata in ogni sezione della Storia Segreta, sia stata corretta in “qa’an”: ne sono spie alcune chiare contraddizioni nel testo dovute a questa correzione non completa. Si segnala inoltre che nell’iscrizione di Yisüngge (1224/5) – nota anche come stele di Činggis – la più antica stele in lingua mongola, scritta in grafia mongolo-uigura – si trova la forma Činggis qan: per i Gran Can, il cui impero era una realtà mondiale, era certamente inconcepibile che il suo fondatore non fosse designato col massimo titolo “qa’an”. «Qan» e «qaγan» (mong. qa’an < qaγan) sono titoli di grande antichità la cui prima attestazione risale al periodo della confederazione delle steppe degli Xianbei, la cui élite era para-mongolica: i due lemmi appartengono a un particolare lessico, a cui si potrebbe dare il nome di «Wanderwörter delle steppe», che passò da un impero delle steppe all’altro insieme a molti altri tratti relativi, ad esempio, all’organizzazione e alla cultura sia materiale che spirituale. L’Alta Asia era infatti già stata l’epicentro di molti imperi fra cui ricordiamo gli Xiongnu, Xianbei, Ruan-Ruan, Turchi e Uiguri e per la cui trattazione rimandiamo a Barfield (1989), Beckwith (2009), Di Cosmo (2002) e Golden (1992). «Qan» e «qaγan» sono essenzialmente termini pre-mongoli e pre-turchi, che forse nella lingua d’origine, non ancora identificata e forse impossibile da identificare (vd. Clauson 1972, p. 611), erano in relazione etimologica l’uno con l’altro. Qagan potrebbe rappresentare una forma intensiva di qan alla stessa guisa, ad esempio, del titolo Teb-tenggri dello sciamano menzionato poc’anzi. I termini «qan» e «qaγan» sono documentati nelle iscrizioni antico-turche del secolo ottavo in grafia runica nelle quali, proprio come successivamente in mongolo, qaγan era il termine specifico usato per designare l’imperatore mentre il termine qan identificava il capo di una confederazione di clan di entità minore e quindi di grado inferiore rispetto a qaγan. Inoltre, e questa è una nota importante, qan aveva anche il significato generico di “sovrano”, per cui in certe circostanze qan e qa’an potevano anche riferirsi ad una stessa persona (vd. Doerfer §1161, pp. 141-183, a cui si rimanda anche per una esauriente panoramica dell’evoluzione storica di qan e qaγan e della rispettiva diffusione nelle lingue dell’ Eurasia). Si segnalano infine, in italiano, due versioni della Storia Segreta dei Mongoli: Kozin (1988) e Grousset (2012).
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